09 Mag Libri di viaggio: Charles De Brosses
«Quello che vediamo nel racconto di de Brosses è l’ultimo brillare di una Italia aristocratica, nel fiore della decadenza; ed è già, a suo modo, un’Italia borghese, non ancora cosciente di sé, ancor chiusa in quei limiti feudali che tuttora riaffiorano, e, come vecchi ruderi, occupano, pesanti, il suolo. Ma un’Italia tuttavia, come il suo osservatore, supremamente civile, armonica, autosufficiente, persistente nel tempo, e piena di dolcezza di vivere e di melanconica grazia». È con queste parole che Carlo Levi chiude la prefazione a Viaggio in Italia. Lettere familiari del presidente del Parlamento di Digione, Charles De Brosses pubblicato postumo nel 1836 e di cui la biblioteca possiede la prima versione italiana del 1957 edita da Parenti, curata da Amerigo Terenzi e con presentazione di Carlo Levi e Glauco Natoli. Preziosa ed elegante anche l’edizione pubblicata in tre volumi con cofanetto e fregi in oro sul dorso. Ma elemento più importante è sicuramente la ricchezza delle illustrazioni che decorano il dorso dei tre libri e le 130 tavole, sia in bianco e nero che a colori, inserite all’interno del testo e che occupano anche l’intero spazio del terzo volume.
Charles De Brosses, dopo la laurea in giurisprudenza, intraprende sin da subito la carriera diplomatica ma è passato alla storia soprattutto per il suo ruolo di studioso. In ambito geografico ebbe un ruolo centrale nella scoperta dell’Australia e coniò i termini Polinesia e Australasia. Fu un vero e proprio antesignano nelle discipline di antropologia e linguistica argomentando in favore dell’origine naturale del linguaggio e proponendo una teoria raffigurativa del segno linguistico che anticipa i moderni studi di fonosemantica. Fu un attento studioso di Sallustio del quale tradurrà e commenterà il Bellum Catilinarium e il Bellum Iugurthinum, dedicando inoltre gran parte della sua vita alla ricostruzione delle Historiae. Sarà lui infine a inventare il termine feticismo utilizzato per la prima volta all’interno di uno studio che egli conduce proprio sui feticci soprattutto nell’antica cultura egiziana e poi subsahariana.
Interessante è tuttavia notare che egli rimarrà famoso nella storia, non solo ma soprattutto, per le sue lettere scritte durante il suo viaggio in Italia compiuto a cavallo tra il 1739 e il 1740, all’età di 32 anni. Le lettere sono in tutto 58 ma solo una decina sono state effettivamente scritte quando l’autore si trovava in Italia mentre le restanti sono frutto di una rielaborazione degli appunti avvenuta una volta rientrato in Francia. Il presidente parte insieme ad un’allegra brigata di borgognoni che alla fine raggiunge i sei membri per intraprendere questo viaggio che, iniziando da Digione, tocca le maggiori città italiane in un anello che da Genova raggiunge le città del centro e sud Italia, per tornare in ultimo a Torino. La decisione di partire viene presa per motivi di diletto ma anche per scopi di studio, infatti De Brosses stava cercando manoscritti per portare avanti la sua titanica opera di ricostruzione delle Historiae di Sallustio.
L’Italia che ci mostra De Brosses è una terra in cui non c’è ovviamente ancora l’idea di unità e di nazione almeno da un punto di vista politico ma è una terra che affascina per la sua storia millenaria, per le sue tradizioni, per le sue abitudini davanti alle quali il nostro presidente rimane deliziato. Non bisogna comunque dimenticare che il mondo che egli attraversa è quello dei nobili, dei politici, dei diplomatici, degli artisti e mai quello del popolo, dei poveri che sono visti, quelle rare volte che appaiono, sempre con distacco e disprezzo. Altra grande assente è poi la natura: egli non si sofferma mai sulla descrizione dei paesaggi o quando ne parla rappresentano solo ostacoli, come le montagne da dover attraversare. La bellezza risiede nei luoghi civilizzati, dove è intervenuta la mano e l’ingegno dell’uomo.
Tutte le esperienze che egli vive sono un gioco e una delizia da dover godere e allo stesso tempo osservare e studiare con attenzione; è un uomo colto e aristocratico che a Roma può permettersi di scherzare con il papa Clemente XII a cui chiede un osso della testa di San Pietro da poter riportare in Borgogna, a Bologna con il Cardinal Lambertini discute di divorzio e a Napoli, dopo aver ascoltato il Metastasio, si ostina a voler imparare il dialetto napoletano. Sono questi solo alcuni degli esempi di episodi vissuti dal nostro autore che ci fanno capire qual è l’atmosfera che si respira sfogliando le pagine di questo libro e che cattura la nostra attenzione facendoci anche sorridere. Ci piace concludere questo breve articolo con una frase tratta dalla presentazione al volume scritta da Carlo Levi che descrive appieno l’Italia, di ieri e di oggi: « È proprio del nostro paese, è forse la sua qualità più fondamentale, il suo comprendere la contemporaneità, il suo racchiudere in sé e conservare l’eternità e la diversità dei tempi, la compresenza e la persistenza di ogni cosa, di ognuno degli infiniti momenti della sua storia e della sua vita. […] Non restano soltanto i vestigi, i ruderi, i marmi, ma, come fossero di marmo, gli uomini e i pensieri del passato».